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Benvenuto rattone!

tirrenia !!!!!! (31)

Per qualche strana ragione il chip (colpo a correre) è un colpo che molti sbagliano, in tutte e tre le categorie a scalare. Sento già le voci di protesta dei giocatori di prima categoria: “Stai dicendo una fesseria! Il chip è un colpo facile, che non sbaglio MAI”

Okay, rettifico. Il chip è un colpo difficile per MOLTI, me compresa. A volte perdo il feeling e per quante prove faccia non riacquisto il controllo. Colpisco la palla troppo in alto provocando un lungo rattone oppure faccio una flappa imbarazzante, che dimostra che la grande palla (pianeta terra) è stata colpita prima della piccola palla da golf!

Quando il dubbio si insinua nella mente poi si arrampica sul grip del ferro, per estendersi alle mani, le spalle, la faccia del bastone e… flappa o rattone è il naturale risultato. Ho provato a correggere ripetendo la tecnica, ho provato tentando di evitare di pensare, con il “pronti-attenti-via-fine” (report “Libera il tuo miglior swing”, lo trovi qui: http://www.golfissazione.com/diecipassi) ma quando il dubbio ormai è avanzato non FUNZIONA NIENTE. O meglio, magari funziona per un breve periodo, poi di nuovo il buio.

La malattia permane!

Ecco il rimedio di Tim Gallwey: accettare il rattone, anzi ringraziarlo. Il rattone è frutto di Sé1, la mente che pensa e ripensa, dà troppe istruzioni e inibisce  il naturale swing che Sé2 (inconscio, istinto) è in grado di eseguire.  Come tutte le altre manifestazioni di Sé1, i rattoni non si “cibano” della luce della consapevolezza. Il nuovo dialogo interno (è Sé1 che parla) sarà questo:

“Okay, caro Sé2, quando fai i rattoni voglio capire come li fai. Ti analizzerò in piena consapevolezza e senza giudizio.”

Con questa affermazione dichiari che la tua tranquillità non è destabilizzata da un volgare rattone, nemmeno se è avvenuto in un momento inopportuno, ad esempio quando ti fa segnare una x in gara.

Mentre fai il rattone o la flappa dovresti sentire una specie di debolezza nel polso destro, un attimo prima dell’impatto, che impedisce alla faccia del bastone di essere square all’impatto. Ascoltando il rumore del colpo “rattonato” puoi capire se hai colpito la palla sotto, sopra o sull’equatore. Mano a mano che aumenta questa consapevolezza aumenta anche la percentuale di chip solidi.

I golfisti ciechi  capiscono subito dal rumore come e dove è stata colpita la palla e quanta strada farà.

Per riassumere: Aumentare la consapevolezza accettando i brutti colpi  e cercando di capirli può “curare” a lungo termine.

Lo dice Tim, adesso basta provare!

Il furbo di turno in gara

Una volta giocavo in gara con tre soci del circolo, uno dei quali vedevo per la prima volta.

Mi marcava proprio lui, il nuovo, mentre lui era marcato da un principiante tutto concentrato su di sé, un 36 di hcp che non si curava di controllare la correttezza delle dichiarazioni del “Nuovo”. Alla fine di ogni buca gli chiedeva semplicemente: “Quanto hai fatto?” E segnava qualsiasi risposta… Forse si sarebbe accorto di un errore se il “Nuovo” avesse dichiarato “UNO!”

Due piccoli episodi mi hanno fatto capire che il “Nuovo” è una persona precisa, puntigliosa, a cui non sfugge niente.

Alla buca 7, un par 4 lungo, io sono in green con 3 colpi e sbaglio il primo putt, corto, che rimane a un metro e mezzo dalla bandiera. Appena pattato (male) il quarto colpo dico: “porca miseria, non mi piaceva fare 5!” Poi invece imbuco e tutta contenta dico “5!” al mio marcatore, il quale mi fa: “Ma come 5?” Non hai detto che non ti piaceva fare 5? Il primo putt che hai tirato era il quinto!”  Io gli spiego con tutta calma che no, non era il quinto ma il quarto essendo arrivata in green con 3 come lui e ricordandogli i miei tre colpi. E lui, a insistere: “Sì, ma tu hai detto quella frase e quella frase significa che volevi imbucare il quinto col primo putt, quindi hai fatto 6″  Alla fine sono intervenuti gli altri due che si ricordavano benissimo i miei 5 colpi e ha ammesso che andava bene il 5.

Poi alla buca 8 mi sono avviata sul tee della 9 col mio marcatore (il Nuovo, ormai chiamiamolo così!) che mi ha sussurrato: stai attenta a cosa ti dice Roberto, non ha imbucato il putt da dieci centimetri, e pensa che nessuno lo abbia visto, vuoi scomettere che ti dice 4? Invece ha fatto 5.”  Quindi appena Roberto arriva col suo cart gli chiedo: “Quanto hai fatto?” E lui: “5” Sono sollevata, avrei dovuto discutere perché non avevo visto il suo ultimo putt.

Il “Nuovo”, il mio marcatore, gioca piuttosto male, nelle seconde nove buche fa spesso tre putt e alla fine della gara, dopo il controllo, raccolgo io gli score per portarli in segreteria e guardando a sinistra del mio score, dove il Nuovo ha segnato i suoi punti, vedo molti scarabocchi, così dò un’occhiatina al suo score e… ORRORE! Vedo tutti “voti” bassi: 3, 4, 5, 6 e nemmeno una x. Io ricordavo bene la sua x alla 13, non aveva imbucato il secondo putt per fare 6 e lì aveva un colpo solo.

Poi con ORRORE crescente vedo 4 alla 17 dove sono certa del 5 (due in green e tre putt, dichiarati) e 6 alla 18 dove sono certa del 7 perché anche lì ha fatto 3 putt.

Rimango incerta sul da farsi, i miei tre compagni erano spariti e io non marcavo il Nuovo, così consegno gli score così come sono, il Nuovo aveva fatto 33.

Pazzesco! Ecco cos’era successo in realtà:

LUI sospettava l’inganno degli altri  (io che imbuco il quinto colpo e Roberto che dichiara il suo giusto 6) perchè LUI è abituato a ingannare!

LUI si è accorto subito che il suo marcatore non lo controllava e ha potuto rubare quanto ha voluto. Se solo avesse giocato un pochino meglio avrebbe dichiarato 50 punti…

LUI ha scarabocchiato e reso incomprensibili i punti che ha segnato sul suo score per vedere ogni volta come si metteva col punteggio reale o rubato.

LUI è una persona scorretta, ma più che altro è convinto che gli altri siano stupidi.

E io? Ho sbagliato, avrei dovuto dirlo in segreteria e scatenare un putiferio.

E tu? Che avresti fatto?

Intervista a Gianni, golfista-papà-scrittore-imprenditore

gdavico_golfHo conosciuto Gianni Davico sul web, ha un blog come me ed è un golfista appassionato di prima categoria che vuole diventare professionista anche se ha superato i 40 anni.  Lo stile di pensiero di Gianni è simile al mio: anche lui parla di felicità, equilibrio, stima di sé e… di golf.

Lui di golf ne sa MOLTO più di me, soprattutto dal punto di vista tecnico (è 4 di handicap…), ma le sue aspettative golfistiche sono totalmente diverse dalle mie e così è diverso anche l’impegno e la dedizione.

Alessandra: Cosa ti affascina del golf? 

Gianni: In una parola, la sfida con se stessi e la ricerca continua del superamento dei propri limiti. È vero che ci sono tanti aspetti del golf assai piacevoli (conoscere persone interessanti, vedere luoghi incantevoli, mantenersi in forma fisica, il divertimento e così via), che naturalmente costituiscono una parte importante del tutto. Ma se riuscirò nel mio intento – diventare professionista entro i 45 anni, avendo preso un bastone in mano per la prima volta a 36 anni –, ecco, questa sarà per me una sorta di missione compiuta. È proprio questo il mio motore primo, la motivazione che mi viene dall’interno, il desiderio di “andar oltre, mangiarmi un’altra generazione, diventare perenne come una collina”, per dirla col Pavese del Diario

Alessandra: Come concili lavoro, golf e famiglia?

 Gianni: Premetto che mi considero molto fortunato. 

Ho dato il via alla mia attività nel 1995, fresco di laurea, e col tempo il lavoro era cresciuto a dismisura: mi portava via troppe ore, mentre c’erano attorno a me persone e attività cui volevo dedicare tempo. Molto tempo. Passati i quarant’anni ho iniziato a vedere la fine del mio tempo, e questo mi ha dato molta energia. Nel 2008 ho dato il via ad un progetto che ho chiamato 25×44: ovvero, mi sono riproposto allora di non dedicare al lavoro più di venticinque ore la settimana per più di quarantaquattro settimane l’anno, partendo proprio dalla considerazione che avevo passato i quarant’anni e che avevo altre priorità oltre al lavoro. Ho descritto questo processo nel dettaglio nel mio ultimo libro, La vita 2.0; non tanto per quel che mi riguarda, ma soprattutto per come ciascuno possa, volendolo (è questo il punto cruciale) applicare a sé quei principi. Io da allora e fino ad ora ci sto riuscendo molto bene: ora ho molto più tempo per le mie passioni, riuscendo ugualmente a mantenere una famiglia composta da quattro persone. 

La reazione tipica che osservo quando racconto la mia esperienza è: “Eh, beato te che puoi permettertelo…” Ma non è esattamente così. Non è che io possa permettermelo e altri no; tutti possono farlo, ma devono decidere di volerlo per sé. 

Alessandra: Quali segreti puoi svelare a noi scarsi di terza categoria per fare il salto di qualità? Come superi i momenti in cui giochi male? (anche i giocatori “super” come te avranno i loro momenti no…) 

Gianni: Guarda, la risposta è facile da trovare dando un’occhiata ad un campo pratica o a un putting green o ad una zona per gli approcci in un qualunque momento. Accadono delle cose molto lineari. In campo pratica, tendenzialmente più l’handicap di un giocatore è alto più praticherà i legni – soprattutto, va da sé, il drive. Nel putting green, quella persona tendenzialmente prenderà tre palline che tirerà da 6 metri per 10 minuti al massimo. Nella zona degli approcci… be’, tendenzialmente non ci andrà mai!  

Come dice Tom Peters, “You can’t shrink your way to greatness”. Insomma, non esistono scorciatoie per diventare bravi. Bisogna praticare, praticare e poi praticare ancora. Il tutto, ovviamente, sotto la supervisione di un maestro di fiducia (altrimenti si rischia di praticare l’errore, e quindi di peggiorare). 

Per essere chiari: occorre dividere il proprio tempo di pratica secondo percentuali “ragionevoli”. Io mi regolo di trascorre circa un terzo del tempo agli approcci, un terzo al putting green e il rimanente terzo allo swing completo, ma ciascuno troverà la sua misura. 

Infine, un aspetto da non sottovalutare è quello mentale: il golf è essenzialmente uno sport mentale, quindi saper governare la propria mente nei momento cruciali è fondamentale per un buon gioco. 

Quanto al superare i brutti momenti di gioco, il punto sta nel concentrarsi in quel che si sta facendo. Ovvero, gli errori sono normali nel golf, ma è importante accettarli una volta compiuti e passare oltre, in maniera da evitare che un errore ne porti altri tre o quattro a seguire. Non che sia facile – anche questa è una tecnica mentale che va allenata. 

Alessandra: Che progetti hai per il futuro? (da tutti i punti di vista: familiari, lavorativi, sportivi) 

Gianni: Dal punto di vista familiare, la priorità è che le bambine crescano sane. 

Dal punto di vista lavorativo, l’obiettivo è di mantenere il mio lavoro “ufficiale” ai ritmi attuali e incrementare la parte di scrittura (libri, articoli e blog). 

Dal punto di vista sportivo, l’obiettivo è quello che ricordavo in apertura: diventare professionista entro il 2012. 

Alessandra: Hai scritto un libro: di cosa parla? Perché non di golf? 

Gianni: La vita 2.0 è la descrizione delle tecniche e della linea di pensiero che ho applicato a me stesso, e che ciascuno può – secondo me – applicare a sé per aumentare la felicità delle sua propria vita. Sono partito da alcune costatazioni se vogliamo banali ma non contestabili. Il punto è, per dirla con Andersen, che il re è nudo. E non c’è più tempo, dunque, per fare finta: allora il compito che mi sono ritagliato è quello di una sorta di grillo parlante, di pascoliano fanciullino, di qualcuno che ci ricordi che la felicità è alla nostra portata, adesso e semplicemente, sempre e comunque, nonostante noi possiamo essere indotti a ritenere che le cose stiano in maniera differente. Ad esempio: il denaro è troppo sopravvalutato, mentre l’unica risorsa davvero critica che abbiamo è il tempo. Di conseguenza, siamo ricchi solo se abbiamo il tempo per fare le cose che vogliamo veramente e non siamo sempre costretti a saltare di scadenza in scadenza, in una corsa al massacro che non ha mai fine. 

Naturalmente non ho la pretesa di insegnare qualcosa ad altri, e questo perché nessuno può insegnare alcunché a chicchessia: si può solo imparare (volendolo). Io ho detto nel libro quello che mi riguarda, cercare di estrarre dei casi generali; e poi ciascuno farà il lavoro su di sé. Se vorrà, beninteso. E la mia speranza è che lo voglia.

 La vita 2.0 non parla di golf perché questo è uno dei miei prossimi progetti: un volume che racconti il percorso che sto facendo per diventare professionista, sia da un punto di vista della tecnica che – soprattutto – della conoscenza di me stesso e dei miei limiti. 

Alessandra: Ho scritto un post ultimamente proprio sulla felicità e ho avuto tanti commenti, anche di persone che in questo momento non sono felici.(eccolo qui http://golfissazione.com/vuoi-solo-essere-felice/) Tu cosa diresti a queste persone per aiutarle a conquistarsi la felicità? 

Gianni: A parer mio la felicità è alla nostra portata, sempre e comunque. Spesso però ci facciamo prendere troppo dalla quotidianità, dai problemi contingenti, e ci lasciamo dominare da questi pensieri. E tuttavia la realtà è secondo me molto più lineare. C’è una frase nel film Yesman che descrive bene tutto questo: “Il mondo è un parco giochi; ma poi strada facendo tutti lo dimenticano”. Ecco, nel momento in cui noi riusciamo a fare questo piccolo salto tutto diviene più semplice. O, per dirla col poeta Leonardo Sinisgalli: 

Si può prendere la felicità

per la coda come un passero.

Si possono dimenticare i debiti

che abbiamo con il mondo

Un lampo di beatitudine

non offende il nostro vicino.

Lui dorme sulla panchina,

il passero gli vola intorno.

Lui sogna il lebbroso

ma sentiamo che il suo male

non è contagioso.

Grazie Gianni, per i contenuti di qualità che ci hai messo a disposizione!

Quanto conta veramente il caddie?

Confesso che quando ho iniziato a giocare a golf l’immagine che mi ero fatto del caddie era di un personaggio pittoresco che si limitava a pulire i ferri del giocatore e gli evitava lo sforzo di portare la sacca.

Poi un giorno mentre stavo seguendo un torneo del circuito americano mi sono accorto che tutta l’attenzione del pubblico e dei commentatori era rivolta all’arrivo di Tom Watson che però non stava facendo un grande risultato. Presto ho capito che il vero protagonista di tutta questa attenzione non era Watson ma il suo caddie, Bruce Edwards. Era l’ultimo giro che facevano insieme dopo aver passato insieme 30 anni sui campi da golf.  Bruce era costretto a lasciare perchè affetto dal morbo di Gehring. L’arrivo alla 18 è stato un momento toccante e ha dato l’idea del forte rapporto che si era instaurato fra i due. Ho cominciato a capire: il  caddie non è solo “colui-che-porta- la-sacca”.

Molti dei grandi campioni del passato come Walter Hagen e Sam Snead hanno iniziato come caddie, ma anche campioni recenti come Severiano Ballesteros, Miguel Angel Jimenez ed il nostro grande Costantino Rocca lo sono stati.

Nel golf moderno non è più normale, e non so se sia un bene, iniziare come caddie. Il caddi è diventata una professione a se stante e proprio per questo i caddies sono diventati veri e propri personaggi che il grande pubblico inizia a riconoscere con facilità.

Steve Williams, il caddie di Tiger, è sicuramente il più famoso ed anche il meglio pagato. Ad  oggi risulta essere lo sportivo più pagato in Nuova Zelanda. Steve è con Tiger dal 1999 e il suo rapporto travalica la parte sportiva al punto di essere stato il suo testimone di nozze.

Jim “Bones” MacKay è invece il caddie di Phil Mickelson. Jim ha una personalità completamente opposta a quella di Steve Williams. Con il suo carattere pacato riesce a compensare la “pazza genialità” di Phil, anche se ha voce in capitolo sulla scelta dei tornei da giocare.

E chi non conosce Mike “Fluff” Cowan? Il sessantunenne signore con i baffoni che porta la sacca di Jim Furyk  è stato il primo caddie di Tiger ( era lui che portava la sacca al Master del 1997, prima vittoria in un major di Wood), ed è anche uno sfegatato fan dei Grateful Dead nota rock band californiana. Un aneddoto per avere un’idea del personaggio. Recentemente una nota rivista americana ha fatto una piccola inchiesta: quando consigliate di puttare due palle a destra il riferimento è il centro o il bordo della pallina?

La domanda è stata posta a 50 fra i migliori caddies del tour americano. Il gruppo si è diviso più o meno al 50% sul risultato ma la risposta di “Fluff” è stata eloquente: per me è il bordo destro ma in ogni caso Jim non mi dà retta e allora io gli dico di mettere dentro quel c…o di putt”

Donne caddies si contano sulle dita di una mano ma Fanny Sunnesson è riuscita a trovare uno spazio importante in un mondo a grande predominanza maschile come il golf. Oltre ad avere “accompagnato” Nick Faldo per più di 10 anni è stata il caddie di Sergio Garcia, Nothan Begay III ed attualmente “porta” la sacca del suo compatriota Henrik Stenson. Ho avuto modo di seguirla all’ultimo Dubai Desert Classic e la grinta con la quale ha rimproverato uno spettatore che stava provando a fare una foto mentre Henrik si stava adressando dimostra di come in fatto di attributi non abbia niente da imparare dai colleghi uomini.

Il rapporto con il caddie è davvero speciale. Chi preferisce avvalersi del cognato come Padraig Harrington o chi, come Luke Donald, del fratello ma in ogni caso il caddy può essere fondamentale nel gioco del professionista, nel bene o nel male.

In definitiva: quanto conta veramente il caddie?

(….. fine prima parte..)     Massimo

l’amante

Louis amava il golf sopra ogni altra cosa.  Era una magnifica ossessione, provava gioia pura nel vedere la pallina alzarsi in volo da terra, faceva gare su gare e portava a casa parecchi premi. E che liberazione, dalla noia del lavoro! era dirigente in una piccola azienda di elettrodomestici, lavorava 8 ore al giorno per uno stipendio da fame, appena sufficiente a pagarsi la quota del golf e delle gare domenicali.

 La moglie era stufa di dover economizzare sulla spesa quando Louis buttava i suoi soldi nel golf, per fortuna non avevano figli.          Il golf era stata la rovina del loro rapporto, Louis aveva cominciato a lasciarla sola per interi sabati e domeniche, noncurante delle sue lamentele, così lei lo aveva lasciato.

Finalmente libero! Libero di giocare a golf, libero di organizzare il suo tempo, libero di tornare a casa tardi, di guardare le partite… Nessuno più a controllare quante ore sta al golf, nessuno che telefona nel mezzo di una gara, finalmente L I B E R O.

Il mese scorso però, la mazzata. Una mazzata in testa non con il legno 3, ma con la lettera di licenziamento. L’azienda era in crisi da tempo, Louis continuava a prendere lo stipendio con poco dispendio di energie, non pensava che ci sarebbe stata la parola FINE, sperava in un intervento da parte dei soci, così come avevano sempre fatto in passato. LICENZIATO, senza cassa integrazione, con la liquidazione da riscuotere chissà quando.

E il golf? Fra due mesi doveva rinnovare la quota, 2000 euro, dove li avrebbe trovati? L’unico lato positivo era che non avrebbe più pagato le 400 euro al mese alla sua ex moglie, doveva correre in banca a bloccare il bonifico.

Con gli amici del golf si era sempre vantato di essere un adone, un donnaiolo… Adesso era il  momento di dimostrare che aveva ragione. Sandrona, la nubile mai-sposata del club, gioca 14 di handicap, è un’imprenditrice agricola piena di soldi, ha vigneti sparsi in tutta Italia ed esporta il suo vino e olio in tutto il mondo. Ha un solo, piccolo difetto: ama mangiare, pesa più di 100 kg. ed è alta 1,65. Oggi Louis ci prova, ha urgentemente bisogno di una “sponsor” per il suo golf e i suoi vizietti come gare, cene fuori…

Il mese prossimo Louis e Sandrona festeggiano al golf la loro unione, hanno invitato un centinaio di persone a cena dopo la gara sponsorizzata dall’azienda di Sandra.

LOUIS HA TROVATO LA GALLINA DALLE UOVA D’ORO, IL PROBLEMA ECONOMICO E’ SCONGIURATO, LA QUOTA ANNUALE DEL GOLF RINNOVATA, MA…

ma la notte

ma la notte

ma la notte NO!