Archivio di aprile 2010

Ecco come John è riuscito a giocare 6 di hcp in due anni

resized_DSC00697Sottotitolo: perchè non ci provo anch’io?

John mi ha spiegato di aver raggiunto il successo nel golf in 9 passi, che utilizza anche nella vita. E’ qualcosa che somiglia molto a quello che spiego nei miei “10 passi per imbucare a golf e nella vita”  (http://www.golfissazione.com/10passi) e che io ho già attuato per raggiungere gli obiettivi di golf e di vita che mi ero prefissata. A dire il vero sarà bene che mi rilegga il libro e lo metta di nuovo in pratica per RI-giocare un buon golf!

Ma ecco i 9 passi di John, davvero istruttivi.

Passo n. 1: desiderio. John desiderava intensamente tornare in forma fisica e imparare a giocare a golf , sapeva cosa voleva.

Passo n. 2: convinzione. John era assolutamente convinto di poter arrivare a un ottimo livello golfistico e ha mantenuto la fiducia e l’ottimismo anche di fronte alle avversità. Ha dimostrato una fede incredibile passando all’azione e cioè dedicando del tempo a lezioni, attrezzatura, allenamento.

Passo n. 3: scrittura. John ha cristallizzato i sogni e le speranze su carta, mettendo così il suo impegno nero su bianco, rafforzando i suoi desideri e le sue convinzioni nella possibilità di realizzarli.

Passo n.4: analisi del punto di partenza. Ha stabilito a che punto era (non faceva sport, era pigro e un pò sovrappeso) e a che punto voleva arrivare. Il golf per lui era anche un modo per muoversi e riacquistare forma fisica ed energia. Quindi ha preso delle decisioni partendo da questo punto.

Passo n. 5: fissazione di una scadenza.  Ha scelto una data specifica per quando avrebbe giocato in campo, per quando avrebbe preso l’hcp e per quando avrebbe giocato sotto 10. Quando incontrava delle difficoltà non modificava la data ma si allenava ancora di più, non si è fatto sconfiggere dalla resistenza iniziare a mollare.

Passo n.6: Individuazione delle persone di cui occorre l’aiuto. Ha stilato una lista delle persone con le quali avrebbe potuto collaborare per arrivare al suo obiettivo (amici non golfisti ai quali ha proposto di iniziare insieme e conoscenti golfisti coi quali consigliarsi, maestri di golf a cui avrebbe potuto rivolgersi)

Passo n. 7: pianificazione del progetto. Ora aveva in mano tutti gli ingredienti necessari al piano, come fossero ingredienti di una ricetta, e poteva mettere insieme un piano operativo.

Passo n.8: Visualizzazione. Aveva una chiara immagine mentale di ciò che voleva. Aveva acquistato libri e riviste di golf, guardando il golf in tv e immaginandosi al posto dei campioni. Aveva attaccato la foto di Tiger Woods in ufficio come modello di golfista e di fisico asciutto che voleva ottenere.

Mossa n.9: perseveranza. Non ha mai considerato la possibilità di fallire, è rimasto fedele ai suoi sogni e ha cercato dei modi per superare gli ostacoli. Quando il suo swing non funzionava il maestro glielo cambiava e lui  provava il nuovo swing per ore fino a che non colpiva bene il 95% delle palle. Ha perseverato fino al successo!

Adesso John oscilla fra 4 e 6 di hcp, è in forma fisica ed è felice. Ha cambiato tipo di lavoro adottando queste 9 mosse e la sua vita è completamente cambiata in meglio. Naturalmente pochi arrivano a giocare 6 di handicap, ci vuole anche predisposizione oltre che volontà. Questi 9 passi però sono utilissimi per definire obiettivi di qualsiasi tipo, nel golf potrebbe essere quello di giocare il proprio handicap con regolarità, un obiettivo di tutto rispetto anche se l’handicap in questione è 36!

Il golf raccontato vince sul golf giocato

“Ho fatto 6 in un modo assurdo, ero in avantgreen con due colpi e poi un approccio e tre putt. Non è possibile fare 300 metri in due colpi e sprecarne 4  in 20 metri! Questa era una buca da par, l’ho giocata benissimo”

“E io allora? Ho messo il primo colpo in rough, l’erba era così alta che ho sbagliato il secondo, poi il terzo era praticamente in green e ho fatto 3 putt: 6 come te”

” Sì ma almeno tu non hai fatto quattro colpi in green…”

Questo è un fac simile di conversazione fra due compagni di golf seduti al bar con una birra in mano. Si parla del putt da 30 cm. che ha girato intorno alla buca, dell’approccio stupendo che il vento forte ha mandato in acqua, del drive lunghissimo che ha preso un ramo dell’albero e ha fatto 60 metri. I compagni di golf e di bevute ricordano colpi che davanti ad una birra rivelano un fascino che sul momento era passato inosservato. Le gioie dell’analisi retrospettiva, in effetti, fanno così parte del cameratismo del golf che a volte sembra di giocare al futuro anteriore, e persino l’attimo in cui si colpisce la pallina ha già in sè un alone di ricordo.

Il golf è un gioco che impegna il cervello e l’anima almeno quanto i muscoli e, senza compagnia, risulta assurdo e inutile come un convegno di filosofia con un solo oratore.

Fra i due amici al bar la conversazione non si sposta dalla partita di golf, e mentre parla uno l’altro aspetta pazientemente il suo turno e pensa: “cosa vuoi che me ne freghi di quanti colpi hai tirato tu e se sei stato più o meno fortunato, fai presto perchè ora tocca a me parlare” Quando poi finalmente prende la parola perchè il compagno si è zittito un attimo e sorseggia la sua birra, ecco che può sfogarsi, esprimere tutti i ricordi belli e brutti del suo gioco, tocca a lui parlare e non berrà un goccio fino a che non avrà finito:

“Alla 7 ho fatto un par incredibile! La palla mi ha girato da destra a sinistra, è finita in bunker ed è uscita. Che approccino meraviglioso in bandiera ho messo poi! Sembrava partito male, ha preso la salita del green e ha sbattuto nell’asta, fermandosi a 20 cm. dalla buca. Alla 8 ho preso il drive tagliato, tutto a destra, il secondo colpo mi risultava impossibile, ero dietro al boschetto di pini…..”

L’espressione del compagno che dovrebbe ascoltare è neutra, osserva la schiuma della birra che si assottiglia e pensa alla SUA buca 8.

Si tratta di monologhi o conversazioni fra sordi!

 

Lo stato di comfort

Ho litigato col vicino, non ci parliamo da mesi. So che dovrei scusarmi con lui, ho una buona parte di responsabilità in questa vicenda. Ma il cambiamento mi provoca stress: perchè mai dovrei uscire dal mio stato di comfort? Sono abituato a questa situazione, sono tranquillo così, andare a parlare col vicino mi stravolge la vita.

Sono grasso, mi faccio schifo. So che dovrei mettermi a dieta, ma come faccio a rinunciare a tutti quei cibi succulenti, dolci, grassi e gustosi? Uscire dal mio stato di comfort, rinunciare ai dolci di cioccolato e panna, mi provoca stress.

Gioco a golf da una vita e sono 36 di handicap, ma non lo gioco quasi mai. Faccio dei tiri corti, nelle buche con i laghi le palle mi finiscono in acqua, in gara arrivo sempre ultimo. Sono abituato a questa zona di comfort, il cambiamento mi comporterebbe un grosso stress: allenamento in campo pratica, lezioni col maestro… preferisco la sicurezza di un gioco scadente.

E’ chiaro cos’è la zona di comfort? E’ quella da cui non ci schiodiamo per paura del cambiamento! E’ la routine quotidiana, quella che ci impedisce di migliorare, progredire, evolvere. Il nostro bisogno principale è quello di sentirci a nostro agio, al sicuro, e le nostre abitudini soddisfano questo bisogno anche se non stiamo poi così bene e sentiremmo la necessità di un cambiamento. L’assenza di rischi ci dà tranquillità, ma può trasformarci in esseri apatici, che trascinano avanti una vita vuota e senza scopo.

Solo quando il dolore della situazione attuale è troppo forte, è insopportabile, solo allora accettiamo di cambiare e uscire dalla zona di comfort. Ma non è stupido aspettare di toccare il fondo? Non è troppo breve la vita per rinunciare a vivere davvero?         Per sbloccarci facciamo così:

Cominciamo ad accettare il 100% della responsabilità di ciò che ci accade. Tutto quello che ci succede nella vita è perchè noi lo abbiamo permesso!

Dimostriamo gratitudine a noi stessi per tutto ciò che di bello c’è nella nostra vita e in ogni più terribile situazione c’è comunque qualcosa di cui essere grati. Perdoniamoci per aver permesso di materializzare tutte le cose brutte che ci sono accadute e proponiamoci di non permetterlo mai più in futuro. Tutto il bene e tutto il male sono una nostra creazione. Dunque, ripeto: siamo grati verso noi stessi e perdoniamoci. Infine, dichiariamo di amarci. Quando saremo pieni d’amore per noi stessi saremo anche in grado di amare davvero gli altri, saremo persone nuove. Questo processo illumina le nostre parti in ombra e permette il cambiamento.

Abbi anche tu il coraggio di uscire dalla zona di comfort, semplicemente provando gratitudine, accettando la tua ombra e amandoti profondamente, così come sei!

Correggiamo i due errori più comuni

Il primo errore comune a moltissimi è lo slice: quando la faccia del bastone è aperta all’impatto la palla va a destra.

Per correggerla, un semplice accorgimento. Controlla subito il grip: vedi le due nocche della mano sinistra? Probabilmente no, allora sposta verso destra la mano sinistra fino a che non vedi bene 2 nocche. Ora i palmi delle mani sono paralleli l’uno all’altro. Il grip più chiuso aiuta a tenere chiusa la faccia del bastone.

Altra probabile causa di slice è il downswing proveniente dall’esterno. Sappiamo bene che dall’apice del backswing bisogna far cadere le braccia e scendere dall’interno,  ma fra il saperlo e il farlo c’è un abisso. C’è un piccolo trucco per scendere dall’interno ed evitare lo slice o qualsiasi altro colpo di non-golf. Quando sei pronto sull’address per fare un colpo, fai in modo che la spalla destra sia un pò più indietro rispetto alla sinistra e tieni il braccio destro attaccato allo stomaco mentre giri le spalle. Ti verrà più naturale scendere dall’interno con l’idea del braccio destro attaccato al corpo.

Secondo errore comunissimo: l’hook, o GANCIO. Si fa hook quando la faccia del bastone è chiusa all’impatto. Anche qui, proprio come nello slice, può essere questione di grip: un grip troppo chiuso, con due-tre nocche visibili, è spesso responsabile del gancio, perciò basta girare appena la mano sinistra verso sinistra, fino a che sia visibile solo una nocca (se tiri spesso a sinistra è meglio che si veda una sola nocca o addirittura nessuna, cioè è meglio un grip più aperto e morbido) Facile, no?

La seconda causa di hook si ha quando si scende troppo dall’interno. [Mi permetto un commento: AL GOLF NON VA MAI BENE NIENTE!! Dall’esterno no, ma non troppo dall’interno, grip non troppo chiuso né troppo aperto… Ma va’…………] Il rimedio anche qui è semplicissimo: basta stare più vicino alla palla quando  fai lo swing. Attenzione anche a girare correttamente il fianco sinistro mentre fai il downswing per far fare il giusto percorso alla testa del bastone.

Spero di averti dato qualche idea, anche se l’autrice non sono io ma un professionista americano, per un rimedio semplice e immediato di slice o hook, ma soprattutto spero che tu non abbia troppo bisogno di rimediare errori!

  In quei giorni di grazia in cui tutto va bene e non fai errori prova il massimo della GRATITUDINE e sii felice!