Il golf raccontato vince sul golf giocato
“Ho fatto 6 in un modo assurdo, ero in avantgreen con due colpi e poi un approccio e tre putt. Non è possibile fare 300 metri in due colpi e sprecarne 4 in 20 metri! Questa era una buca da par, l’ho giocata benissimo”
“E io allora? Ho messo il primo colpo in rough, l’erba era così alta che ho sbagliato il secondo, poi il terzo era praticamente in green e ho fatto 3 putt: 6 come te”
” Sì ma almeno tu non hai fatto quattro colpi in green…”
Questo è un fac simile di conversazione fra due compagni di golf seduti al bar con una birra in mano. Si parla del putt da 30 cm. che ha girato intorno alla buca, dell’approccio stupendo che il vento forte ha mandato in acqua, del drive lunghissimo che ha preso un ramo dell’albero e ha fatto 60 metri. I compagni di golf e di bevute ricordano colpi che davanti ad una birra rivelano un fascino che sul momento era passato inosservato. Le gioie dell’analisi retrospettiva, in effetti, fanno così parte del cameratismo del golf che a volte sembra di giocare al futuro anteriore, e persino l’attimo in cui si colpisce la pallina ha già in sè un alone di ricordo.
Il golf è un gioco che impegna il cervello e l’anima almeno quanto i muscoli e, senza compagnia, risulta assurdo e inutile come un convegno di filosofia con un solo oratore.
Fra i due amici al bar la conversazione non si sposta dalla partita di golf, e mentre parla uno l’altro aspetta pazientemente il suo turno e pensa: “cosa vuoi che me ne freghi di quanti colpi hai tirato tu e se sei stato più o meno fortunato, fai presto perchè ora tocca a me parlare” Quando poi finalmente prende la parola perchè il compagno si è zittito un attimo e sorseggia la sua birra, ecco che può sfogarsi, esprimere tutti i ricordi belli e brutti del suo gioco, tocca a lui parlare e non berrà un goccio fino a che non avrà finito:
“Alla 7 ho fatto un par incredibile! La palla mi ha girato da destra a sinistra, è finita in bunker ed è uscita. Che approccino meraviglioso in bandiera ho messo poi! Sembrava partito male, ha preso la salita del green e ha sbattuto nell’asta, fermandosi a 20 cm. dalla buca. Alla 8 ho preso il drive tagliato, tutto a destra, il secondo colpo mi risultava impossibile, ero dietro al boschetto di pini…..”
L’espressione del compagno che dovrebbe ascoltare è neutra, osserva la schiuma della birra che si assottiglia e pensa alla SUA buca 8.
Si tratta di monologhi o conversazioni fra sordi!
Lo stato di comfort
Ho litigato col vicino, non ci parliamo da mesi. So che dovrei scusarmi con lui, ho una buona parte di responsabilità in questa vicenda. Ma il cambiamento mi provoca stress: perchè mai dovrei uscire dal mio stato di comfort? Sono abituato a questa situazione, sono tranquillo così, andare a parlare col vicino mi stravolge la vita.
Sono grasso, mi faccio schifo. So che dovrei mettermi a dieta, ma come faccio a rinunciare a tutti quei cibi succulenti, dolci, grassi e gustosi? Uscire dal mio stato di comfort, rinunciare ai dolci di cioccolato e panna, mi provoca stress.
Gioco a golf da una vita e sono 36 di handicap, ma non lo gioco quasi mai. Faccio dei tiri corti, nelle buche con i laghi le palle mi finiscono in acqua, in gara arrivo sempre ultimo. Sono abituato a questa zona di comfort, il cambiamento mi comporterebbe un grosso stress: allenamento in campo pratica, lezioni col maestro… preferisco la sicurezza di un gioco scadente.
E’ chiaro cos’è la zona di comfort? E’ quella da cui non ci schiodiamo per paura del cambiamento! E’ la routine quotidiana, quella che ci impedisce di migliorare, progredire, evolvere. Il nostro bisogno principale è quello di sentirci a nostro agio, al sicuro, e le nostre abitudini soddisfano questo bisogno anche se non stiamo poi così bene e sentiremmo la necessità di un cambiamento. L’assenza di rischi ci dà tranquillità, ma può trasformarci in esseri apatici, che trascinano avanti una vita vuota e senza scopo.
Solo quando il dolore della situazione attuale è troppo forte, è insopportabile, solo allora accettiamo di cambiare e uscire dalla zona di comfort. Ma non è stupido aspettare di toccare il fondo? Non è troppo breve la vita per rinunciare a vivere davvero? Per sbloccarci facciamo così:
Cominciamo ad accettare il 100% della responsabilità di ciò che ci accade. Tutto quello che ci succede nella vita è perchè noi lo abbiamo permesso!
Dimostriamo gratitudine a noi stessi per tutto ciò che di bello c’è nella nostra vita e in ogni più terribile situazione c’è comunque qualcosa di cui essere grati. Perdoniamoci per aver permesso di materializzare tutte le cose brutte che ci sono accadute e proponiamoci di non permetterlo mai più in futuro. Tutto il bene e tutto il male sono una nostra creazione. Dunque, ripeto: siamo grati verso noi stessi e perdoniamoci. Infine, dichiariamo di amarci. Quando saremo pieni d’amore per noi stessi saremo anche in grado di amare davvero gli altri, saremo persone nuove. Questo processo illumina le nostre parti in ombra e permette il cambiamento.
Abbi anche tu il coraggio di uscire dalla zona di comfort, semplicemente provando gratitudine, accettando la tua ombra e amandoti profondamente, così come sei!
Correggiamo i due errori più comuni
Il primo errore comune a moltissimi è lo slice: quando la faccia del bastone è aperta all’impatto la palla va a destra.
Per correggerla, un semplice accorgimento. Controlla subito il grip: vedi le due nocche della mano sinistra? Probabilmente no, allora sposta verso destra la mano sinistra fino a che non vedi bene 2 nocche. Ora i palmi delle mani sono paralleli l’uno all’altro. Il grip più chiuso aiuta a tenere chiusa la faccia del bastone.
Altra probabile causa di slice è il downswing proveniente dall’esterno. Sappiamo bene che dall’apice del backswing bisogna far cadere le braccia e scendere dall’interno, ma fra il saperlo e il farlo c’è un abisso. C’è un piccolo trucco per scendere dall’interno ed evitare lo slice o qualsiasi altro colpo di non-golf. Quando sei pronto sull’address per fare un colpo, fai in modo che la spalla destra sia un pò più indietro rispetto alla sinistra e tieni il braccio destro attaccato allo stomaco mentre giri le spalle. Ti verrà più naturale scendere dall’interno con l’idea del braccio destro attaccato al corpo.
Secondo errore comunissimo: l’hook, o GANCIO. Si fa hook quando la faccia del bastone è chiusa all’impatto. Anche qui, proprio come nello slice, può essere questione di grip: un grip troppo chiuso, con due-tre nocche visibili, è spesso responsabile del gancio, perciò basta girare appena la mano sinistra verso sinistra, fino a che sia visibile solo una nocca (se tiri spesso a sinistra è meglio che si veda una sola nocca o addirittura nessuna, cioè è meglio un grip più aperto e morbido) Facile, no?
La seconda causa di hook si ha quando si scende troppo dall’interno. [Mi permetto un commento: AL GOLF NON VA MAI BENE NIENTE!! Dall’esterno no, ma non troppo dall’interno, grip non troppo chiuso né troppo aperto… Ma va’…………] Il rimedio anche qui è semplicissimo: basta stare più vicino alla palla quando fai lo swing. Attenzione anche a girare correttamente il fianco sinistro mentre fai il downswing per far fare il giusto percorso alla testa del bastone.
Spero di averti dato qualche idea, anche se l’autrice non sono io ma un professionista americano, per un rimedio semplice e immediato di slice o hook, ma soprattutto spero che tu non abbia troppo bisogno di rimediare errori!
In quei giorni di grazia in cui tutto va bene e non fai errori prova il massimo della GRATITUDINE e sii felice!
Vuoi essere più giovane? Gioca a golf!
Mario ha 62 anni, da un pò di tempo porta gli occhiali che non gli consentono comunque di vedere bene. Non legge i caratteri piccoli, ha interrotto la vecchia abitudine di comprarsi il giornale tutte le mattine, lui non si accontenta di leggere i titoli di testa. Il mondo è fatto di cose trite e ritrite, come fosse riarso e pervaso da una specie di siccità, tutto gli sembra sbiadito e sfumato. Periodicamente soffre di mal di schiena, l’età gli ha regalato anche l’artrosi alle dita di una mano, il mondo non è più bello come una volta.
Solo il campo da golf gli fa riacquistare la vista e vedere un mondo diverso. Il fairway della buca 1 ha un aspetto sempre nuovo. Lì, sulla piattaforma di terra dove è piantato il tee, coi piedi nelle grandi Footjoys bianche e chiodate, mentre estrae dalla sacca il suo drive “Callaway”, Mario si sente di nuovo alto e atletico, come quando giocava a tennis delle interminabili partite e correva come un pazzo da una parte all’altra del campo, schiacciava la palla in volo per sbaragliare l’avversario.
Nel golf le distanze si riducono a pochi, facili swing, se si trova la magia del gioco. Il golf continua ad offrire a Mario una speranza di perfezione, di completa leggerezza, di totale naturalezza, perché ogni tanto gli capita che tutto fili liscio e il gioco sia perfetto, leggero, naturale colpo dopo colpo. Poi però Mario ridiventa umano e vuole strafare, cerca di mandare la pallina ancora più lontana picchiandola forte: a quel punto si annienta il senso di perfezione, la grazia, l’impeccabilità.
Quando Mario è sul tee della 1 intento a tirare il suo primo drive prova una nuova emozione per avere davanti a sé la possibilità di una partita perfetta, in cui non sbaglierà un putt da un metro, non farà slice, approccerà con grazia. Drive in mano, prende la misura dell’address e guarda il fairway davanti ai suoi occhi: una lunga distesa verde dove a destra c’è fuori limite e a sinistra le collinette e i cespugli. Non deve fare altro che un puro, semplice swing per veder atterrare la pallina la’ in mezzo, piccola come una capocchia di spillo, un puntino bianco in mezzo alla distesa verde.
Nessun dolore sul campo da golf, grande chiarezza. Qui Mario riacquista la vista, la salute e la speranza.