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terzo e ultimo capitolo. Che performance, Alfredo!

Un pò di suspance di golf in questa parte finale del racconto. Alfredo, ti voglio ancora a raccontare le tue storie qui sul blog!

TERZO CAPITOLO             

Come in tutti i circoli ci sono alcune gare che sono particolarmente sentite da un nutrito gruppo di soci. Una di questa era una gara a squadre che si teneva alla fine dell’estate in un circolo lontano dal nostro. Era diventato un appuntamento importante perché rappresentava  l’occasione per prendere qualche ulteriore ultimo giorno di ferie, e sanciva il termine della stagione calda prima di ripiombare nella monotonia della vita cittadina senza più quel bel sole brillante, a volte torrido, che ci aveva accompagnato per quei veloci mesi estivi.

Si trattava di una competizione a squadre di quattro giocatori; si svolgeva su due giornate con punteggio medal e venivano considerati ai fini della classifica i migliori tre risultati; infine, cosa di non poco conto per noi, c’era un limite di handicap. Noi, pur con frequenti passaggi a vuoto, eravamo riusciti, chi più chi meno, ad abbassare il famigerato handicap, che però era sempre superiore al limite di questa gara. Pertanto se avessimo voluto partecipare avremmo dovuto giocare con un handicap di alcuni colpi più basso del nostro.

Diverse volte squadre del nostro circolo avevano vinto o si erano piazzate sul podio, per cui i veterani di questa gara sapevano bene come fosse importante difendere l’onore ed il prestigio che il circolo si era conquistato nel tempo. Dopo averci pensato a lungo decidemmo, con un pizzico di follia e tanta faccia tosta, di iscrivere i nostri nomi sul tabellone per partecipare a questa competizione, affinché fossimo inseriti nelle varie squadre.

I decani del circolo formarono i vari team. Io mi trovai inserito in una squadra dove ero chiaramente il “vaso di coccio fra i vasi di ferro”; gli altri tre partner erano prime o seconde categorie con palmares di tutto rispetto, cioè veri e propri volponi dei campi di golf. Non mi persi d’animo, incominciai a pensare che poteva essere l’occasione buona per vedere, e far vedere, che anch’io potevo dire la mia parola in fatto di golf! Mancavano un paio di settimane alla gara. Intensificai le presenze sul campo pratica per rendere un po’ più solido il mio gioco e migliorare la sicurezza in me stesso. Vidi qualche progresso.

Arrivò il giorno dell’inizio dei due giorni di gara.  Partii sul tardi, con altri tre compagni di gioco piuttosto seri e taciturni. Ebbi la fortuna di iniziare bene, giocando con concentrazione e soprattutto con calma, senza quella frenesia che talvolta ti attanaglia, con la sensazione di non vedere l’ora di finire la gara. Continuai a giocare bene per tutto il percorso. Chiusi la giornata con un eccellente (per me) 69  netto di colpi medal, tre sotto il  par.

Quando comunicai il risultato ai partner della mia squadra ci furono manifestazioni di  sorpresa, non si aspettavano una simile performance, ma soprattutto il mio risultato permise di scartare un 73 e ci consentì di collocarci provvisoriamente al primo posto in classifica, distanziando di due punti la seconda in classifica. Provai una bella soddisfazione, tutti mi facevano i complimenti.

Ero contento ma in un angolo della mia testa non facevo che pensare alla gara del giorno dopo e mi dicevo “Se domani gioco male sciupo tutto, ora mi fanno i complimenti, ma saprò meritarmeli anche domani ? Se qualcosa mi va storto? Cado “dagli altari nella polvere” e ritorno nella mia aurea di mediocrità golfistica? ”

In effetti l’ infida insidia era in agguato e la malignità umana  mi aveva riservato una spiacevole sorpresa.

La notte non avevo dormito un granché bene, comunque la mattina mi presentai sul tee di partenza rilassato e determinato a ripetere la performance del giorno prima. Partii bene e continuai a giocare bene con la testa leggera dai pensieri ma concentrata sul gioco. Le buche scorrevano  piacevoli e sapevo bene cosa tirare e soprattutto come portare il colpo.

Arrivai alla penultima buca con un buono score: ero uno sotto il mio par. La buca è un par  4 di poca difficoltà, molto ampia, in discesa, costeggiata da dei boschetti. Tirai il drive lasciandomi andare: ne venne fuori un colpo eccellente, arrivai a non più  di 110 metri dal green.  Mi incamminai verso la pallina pregustando il ferro che avrei tirato e vedevo già la pallina sul green, mi immaginai di fare due putt e di chiudere con un bel par, con un vantaggio, anche se esiguo, sufficiente  per giocare con assoluta tranquillità l’ultima buca.

Mentre stavo per raggiungere la pallina vidi che dal fondo del fairway veniva verso di me un cart. Arrivatomi vicino il guidatore del cart, che riconobbi essere il capitano della squadra che nella giornata precedente si era classificata seconda, mi urlò come un ossesso: “Quanti colpi hai fatto finora ?  Perché, caro giovanotto, se non chiudi il percorso in par la coppa della gara ce la portiamo via noi.”

Rimasi impietrito e risposi : “Non  so con precisione quanti colpi ho fatto, domanda al mio marcatore.”  Si allontanò velocemente e si fermò a parlare a lungo  col compagno di gioco che marcava i miei punti. Ero inebetito, all’improvviso tutta la mia sicurezza era sparita, la testa mi era andata in confusione, era chiaro che questo tristo personaggio era venuto per condizionarmi e farmi andare fuori fase e devo dire che c’era riuscito in pieno.

Quando fu il mio turno andai sulla pallina e provai il colpo: nella mia testa non mi riusciva più  coordinare il movimento con i giusti tempi. Dopo diverse incertezze  mi decisi a tirare: il colpo partì alto ma  spostato sulla sinistra  rispetto all’obiettivo; la pallina andò a finire addirittura in una piccola discesa sotto il  bunker che difende il green.

Tutto sommato non era andata proprio male. Si trattava ora di fare un approccio, volare sopra il bunker e piazzare la pallina il più vicino possibile alla bandiera. Facile a dirsi, più difficile a farsi, soprattutto quando  ti trovi sotto pressione e devi fare in tutti i modi un colpo più che decente. Tirai: come prevedibile sbagliai tutto, alzai la testa prima di colpire la pallina. Partì una saetta raso terra; già vedevo la pallina volare attraverso il green e dirigersi pericolosamente verso una pineta poco distante.                                                                                                                                                                                                                                                              In In quella frazione di secondo vidi cadere le mie illusioni di successo, ma la mia buona sorte mi aiutò.  La pallina radente colpì in pieno il bordo superiore del bunker, che era in leggera salita; si impennò e ricadde  lunga sul limite del green .Tirai un grosso sospiro di sollievo, mi calmai per un momento e non so come riuscii a imbucare con due canonici putt. Avevo fatto bogie, e mantenevo il mio leggero vantaggio di uno sotto il par.

L’ “avversario”. mi guardava e vidi un leggero moto di disappunto aleggiargli sul viso. Ero in fibrillazione perché  non sapevo né se questo tizio mi aveva detto la verità, né che risultato avevano fatto i miei compagni: la mia mente vagava.  Iniziai l’ultima buca, altro par 4 di media difficoltà; anche questa volta tirai un ottimo drive e piazzai la pallina in un punto dal quale riuscivo a vedere bene il green; era importante mettere bene il primo tiro, perché la  difficoltà della buca consisteva nel superare con il primo tiro la curva sulla destra al termine di una fitta fila di alberi che costeggiava il percorso.

Quando arrivai sulla pallina alzai gli occhi e vidi che su una piccola montagnola, che coronava in alto il green, erano assiepate diverse persone, fra le quali i compagni della mia squadra, tutta la squadra avversaria e tanti amici. Mi apprestai al tiro con una certa emozione perché sentivo su di me tanti occhi. Il silenzio mi sembrava assordante.   

Ti rai un ferro. La pallina si alzò bene, diritta come una spada in direzione della bandiera: toccò però terra troppo presto, sul bordo del bunker, ma anziché rotolare verso il green prese un po’ di discesa e si fermò in mezzo alla sabbia. Avevo indovinato  quasi tutto: movimento e direzione, ci sarebbe voluto solo un pizzico in più di determinazione.

Sentii dei mormorii, quasi certamente di disappunto, da parte dei miei compagni ( li avevo delusi), o di sollievo dagli avversari. Mi  feci coraggio. Mi dissi l’importante è metterla in green, anche se l’uscita dal bunker era uno dei miei punti deboli. Riuscii a tirarla fuori, ma la buca era ancora molto lontana situata sopra una salitella.  Con il primo putt restai molto corto, col secondo  mi avvicinai alla buca restando ancora corto e finalmente con il terzo imbucai. Feci un grosso respiro perché  avevo finito anche se con doppio bogie e mi ero rimangiato il punticino di vantaggio che avevo. Controllammo gli score e io firmai il mio 72, cioè il par del campo.

Lo comunicai ai miei compagni di squadra, che aspettavano ansiosi, e alla notizia fecero grandi salti di gioia: pensavano infatti che non fossi riuscito a tirare il primo colpo tanto lungo e che fossi riuscito a vedere la buca solo con il secondo colpo. Quindi pensavano che avessi chiuso la buca in sette colpi, anziché sei come invece avevo fatto.

Avevamo vinto per 1 punto e il mio risultato era stato decisivo sia nel primo che nel secondo giorno.

Avevo vinto con me stesso, con il campo e soprattutto con quell’ “ossesso” che aveva fatto di tutto per innervosirmi, cercando di gravarmi di responsabilità affinché “scoppiassi”. Ero diventato l’argomento del giorno, tutti mi facevano i complimenti; ero euforico, mi sembrava di camminare senza toccare terra, fluttuavo a mezz’aria. Negli spogliatoi anche i miei amici si erano uniti ai rallegramenti ed io, tutto felice, fra le tante cose che si dicono fra di noi in confidenza e in libertà, dissi:

 “Una giornata così è impagabile, mi diverto più a giocare a golf che a fare sesso!”

“E’ vero, è vero, hai  pienamente ragione!” mi assecondarono ridendo, anche loro in coro, con foga.  La sera eravamo tutti a cena con le nostre mogli; una bella tavolata, un bel locale, ottimo cibo festeggiavamo la vittoria con tanta allegria. Ovviamente avevo offerto lo spumante. 

Al momento culminante della festa, cioè al brindisi,  quelle vipere dei “miei più cari amici, che  furbi come faine aspettavano il momento propizio, catturarono l’attenzione di mia moglie e di tutti i presenti e si slanciarono a riferire con enfasi e dovizia di particolari l’affermazione da me, incautamente ma ingenuamente fatta negli spogliatoi. Tutti scoppiarono in una grassa risata. Una sola persona restò seria: mia moglie, la quale abbassò il bicchiere che aveva in mano, mi lanciò un’occhiata gelida e tagliente e con voce stentorea, affinché tutti potessero ascoltare bene, mi disse:

“Amelio, a me sembra che questo gioco del golf ti abbia completamente rimbischerito!!!!!” 
 
 

    

                                                        .        F I N E